Nell'
imminenza del Natale, tempo di
letizia e di profonde riflessioni, viene spontaneo chiedersi: perché tante
popolazioni sono vittime di tragedie a causa di interminabili e cruenti
conflitti?
La
risposta è fin troppo ovvia. Finché permarranno nel mondo la povertà, la
disuguaglianza e l'ingiustizia, dovute in gran parte all'egoismo e alla
prevaricazione di alcuni uomini su altri, non si potrà mai sperare di
raggiungere una tregua duratura.
Da
oltre 50 anni un modesto lembo di territorio che s'affaccia sul Mediterraneo
è
teatro di sanguinosi scontri armati. Questo luogo è la Palestina, una
«terra speciale» e purtroppo contesa in passato tra ebrei, cristiani e
musulmani. Gerusalemme ne è l' indiscussa capitale spirituale poiché da
secoli è l' unica città sacra alle tre grandi
religioni monoteiste.
Oggi
la mancata intesa tra Israele e palestinesi è il sintomo più evidente di
un profondo dissidio sull'appartenenza di questa
regione. Né, al momento, la Road Map (strada per la pace) voluta dall'Onu,
dall' UE, dagli USA e dalla Russia sembra sia riuscita a riaprire la
speranza per una concreta riappacificazione. E pensare che solo negli ultimi
3 anni le vittime tra i due contendenti sono state circa quattromila.
In
una situazione così grave dove la violenza sembra non avere mai fine
conforta il fatto di sapere che in Terra Santa sono in ripresa i
pellegrinaggi che da tempo si erano interrotti.
Sono
persone di ogni ceto che, rispondendo agli appelli della CEI e all`esigenza
di non abbandonare i luoghi sacri, tornano a visitare Betlemme, Gerusalemme,
il Monte degli Ulivi e il Santo Sepolcro. Persone per nulla intimorite dal
generale clima di tensione e d' insicurezza e che forti del
sentimento d' amore per la terra di Gesù desiderano soddisfare
probabilmente una sete dell' anima. In loro è ben radicato il senso d'
appartenenza al credo religioso. Questi pellegrini sono sostenuti da una
fede che li rende forti e orgogliosi per cui una terra che, di fatto, è
lontana nello spazio si colloca vicinissimo al loro cuore con estrema
naturalezza.
Forse
c`è ancora dell`altro nel ritorno in Terra Santa: il desiderio di rompere
quella specie d'accerchiamento che la violenza e il permanere delle tensioni
ha portato non tanto ai luoghi ma ai sentimenti degli uomini.
Perciò
il pellegrino che si reca a Gerusalemme si trasforma per questa stessa
iniziativa anche in un artefice della pace.
Il
prossimo Natale deve essere un'occasione per pensare al significato dell'essere
pellegrini in Terra Santa.
In
un momento difficile per le popolazioni e preoccupante per i cristiani che
in quei luoghi ripongono le radici della loro religiosità una profonda
meditazione non può che far bene.
Marco
Fiorelli