Era il patriarca dei diseredati, con i quali ha condiviso
tutto
in autentico spirito di servizio evangelico. Fino alla fine.
Ora che il patriarca dei
poveri è partito per le "grandi vacanze", di lui resta la testimonianza
eccezionale di un’esistenza spesa al servizio dei più diseredati, in una
comunione evangelica totale. È stato per lunghi anni il riferimento
spirituale e morale di più di una generazione di giovani e meno giovani, uno
di quei personaggi destinati a illuminare il cammino dell’umanità: come il
dottor Schweitzer, Madre Teresa, Raoul Follereau, dom Hélder Câmara. Nella
laicissima Francia ha guidato per anni la classifica dei personaggi più
popolari, anche tra i non credenti.
Henri Groués, poi divenuto
Abbé Pierre durante la Resistenza, veniva da una famiglia borghese di sette
figli di Lione, città nella quale era nato nel 1912. Dopo una sofferta
esperienza in un convento dei cappuccini, viene ordinato prete nel 1938.
Diviene cappellano di Marina, poi staffetta partigiana ricercato dai
tedeschi e, a guerra finita, per breve tempo parlamentare del Movimento
popolare: scopre così la realtà sociale di un Paese stremato dalla guerra
dove vi sono milioni di senzatetto e di poveri accampati per le strade e ne
diviene il paladino.
Nel 1949, dall’incontro con
un derelitto disperato, nasce la prima Comunità Emmaus, destinata a
moltiplicarsi nel mondo come un miracolo della carità, che accoglie nel
lavoro comune del riciclaggio degli scarti chiunque abbia bisogno di un
aiuto. I francesi imparano presto a conoscere quel prete minuto, con la
barba, il basco e una giacca a vento sopra la tonaca, che lavora in mezzo ai
suoi "stracciaroli" e scuote le coscienze con i suoi appelli.
Nel 1954, un inverno
terribile, la sua campagna dai microfoni di Radio Lussemburgo, a favore dei
senzatetto, raccontata mille volte, anche in un film, suscita quell’"insurrezione
della bontà" che consacra la sua popolarità come personaggio scomodo ma
rispettato e amato.
Era uomo di slanci teneri e
generosi, del tutto disinteressati, soprattutto quando si trattava di
difendere un amico in difficoltà, anche a costo di essere frainteso,
giudicato un estremista e trovarsi in situazioni imbarazzanti. Come quando,
negli anni ’70, venne a Roma, fiero delle sue decorazioni, per perorare la
causa di un lontano nipote coinvolto in un’inchiesta sul terrorismo. O
quando, nel 1996, scese in campo per difendere pubblicamente l’amicizia col
filosofo Roger Garaudy, al centro di violente polemiche per certe sue tesi
antisemite, finendo a sua volta in un ginepraio di guai, in seguito ai quali
preferì rifugiarsi per qualche tempo nell’abbazia di Praglia, sopra Padova.
Era fatto così: sotto la
veste fragile e mansueta dell’uomo di Chiesa batteva il cuore di un
guerriero quando si trattava di difendere i diritti dei poveri e dei
diseredati, e non solo di quelli.
Servire
per primo il più sofferente
Le sue battaglie non
conoscevano le strategie diplomatiche, né l’arte del compromesso. Quando il
Governo francese stava per approvare una legge che prevedeva l’arresto per
chi occupava abusivamente case lasciate vuote e non utilizzate, si insediò
in un palazzo nuovo di Parigi comunicando alle autorità che sarebbe stato il
primo a essere arrestato se la legge fosse passata.
I suoi rapporti con i poveri e quelli che si
definiscono gli "esclusi" della società andavano ben oltre l’assistenza e la
protezione: era condivisione, servizio, partecipazione, amore. Nelle regole
di Emmaus è scritto: «Servire per primo il più sofferente».
Anche la sua vita era ispirata alla più
assoluta sobrietà francescana e al servizio. Emergono due ricordi vivi,
frutto di brevi e fruttuosi incontri con lui: la sua stanza nel "quartier
generale" di Emmaus a Charenton, sulla Senna, alle porte di Parigi, un
"buco" in una mansarda con i libri stipati in cassette della frutta, un
piccolo tavolo ingombro di carte e il letto ricavato sotto i ripiani, come
in un sommergibile. Sul tavolo, il Vangelo e un registratore con un nastro
di canti gregoriani. E ancora: la volta in cui, alla fine del silenzioso
pranzo nell’abbazia dove soggiornava, mi fornì un grembiule e mi invitò in
cucina a lavare i piatti con lui perché era il suo turno.
Alla
ricerca di una meta definitiva
L’indebolimento fisico
dovuto all’avanzare dell’età ne aveva rallentato negli ultimi anni
l’attività, non spento gli ardori. Quando aveva lasciato materialmente la
guida di Emmaus, restandone comunque il riferimento spirituale, non aveva
rinunciato ai viaggi anche all’estero, in Europa, in Africa, agli incontri
pubblici, alle manifestazioni.
Come alla ricerca di una
meta definitiva, si era ritirato a vivere dapprima nell’abbazia benedettina
di Saint Wendrille, poi tra i vecchi
compagnons in una
casa di riposo della Comunità in Normandia, poi di nuovo a Parigi.
Instancabile, nonostante gli anni.
Le ultime immagini ce lo
mostrano su una carrozzella: nel 2004 sulla spianata del Trocadero a Parigi,
per le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’appello del ’54,
quando davanti a una folla festante di amici e sostenitori ha letto con i
toni e la forza del combattente il suo manifesto contro la povertà, mettendo
con rara preveggenza gli amministratori di fronte alla realtà drammatica dei
senzatetto e delle sue conseguenze: «Mobilitatevi. La democrazia ha bisogno
di ritrovare il senso della solidarietà, altrimenti non sopravviverà».
Poco dopo era venuto anche
in Italia, era stato nella sua amata Assisi, aveva registrato ad Arezzo
un’intervista televisiva per la rubrica
Racconti di vita,
aveva partecipato a Firenze alla "Tre giorni contro le nuove schiavitù".
Fino all’ultimo era rimasto il difensore dei deboli, il patriarca dei
poveri.
Un
cristiano libero
Il caso ha voluto che gli
ultimi tempi della sua lunga militanza siano stati appannati da una
fuorviante polemica dopo la pubblicazione del suo ultimo libro-intervista,
Mio Dio… perche?,
lunga meditazione di un uomo giunto alla fine della sua vita che confessa a
cuore aperto le sue debolezze e affronta con sincerità problematiche etiche
e sociali della nostra epoca. Scandalo, ironie malevoli; come se l’intera
esistenza di un uomo dovesse essere giudicata a segmenti. In realtà, come ha
scritto
Enzo
Bianchi, «sono le
riflessioni di un uomo e di un cristiano libero che non ha mai smesso di
interrogarsi di fronte alle domande più scottanti che la vita e la storia
gli hanno posto di fronte». E che vanno ben oltre i nostri umili confini.
di
Claudio Ragaini
dal
sito di “Famiglia Cristiana” |